"Non so bene perché, ma c'è qualcosa nell'orso che induce ad amarlo"
J. O. Curwood

mercoledì 2 aprile 2008

Chi protegge l'orso bruno?

La conservazione dell'orso bruno in Italia si deve ad un paradosso. La prima forma di protezione del plantigrado infatti si deve all'istituzione di una riserva di caccia nell'Appennino Centrale da parte del Re Vittorio Emanuele, nei primi anni del '900. Il Re volle infatti limitare lo sterminio che già da secoli colpiva alcune specie come l'orso bruno marsicano, il lupo e il camoscio d'Abruzzo. Qualche anno dopo, l'11 gennaio 1923 lo Stato Italiano riconosce l'istituzione avvenuta un anno prima dell'Ente Autonomo Parco Nazionale d'Abruzzo, nato proprio dai territori facenti parte della riserva di caccia del Re. Obiettivo del parco è proteggere e conservare le specie tipiche di quest'area.

L’idea della proteggere gli orsi però si deve in gran parte al Conte Gian Giacomo Gallarati Scotti, naturalista, promotore della prima associazione ambientalista italiana, la Pro Natura e del Parco Adamello-Brenta. In qualità di senatore del Regno Gallarati Scotti presentò nel 1938 un disegno di legge, approvato nel 1939, per la protezione integrale dell’orso bruno su tutto il territorio italiano. La legge del 1939 fu poi confermata nelle norme della nuova legge 968 del 1977.

A Washington nel 1973 la la Convenzione sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora minacciate di estinzione (CITES) vincola 150 Paesi alla tutela di molte specie di orsi fra cui l'orso bruno. Gli atti della Convenzione vengono recepiti nel nostro Paese nel 1980 e il servizio di controllo viene affidato al Corpo Forestale dello Stato.

Nel 1979 la Convenzione di Berna annovera l’orso bruno tra le specie incluse nell’appendice II (“Specie di fauna rigorosamente protette”). Tale convenzione cambia radicalmente il concetto di protezione della fauna includendo nelle strategie soprattutto la conservazione dell'habitat e verrà ribadita nella 1992, con la sottoscrizione della Convenzione di Rio sulla Biodiversità. Le successive raccomandazioni 59 (1997), 74 (1999) e 82 (2000), adottate dal Comitato Permanente della convenzione di Berna, richiedono inoltre agli Stati membri di attivarsi per la conservazione dell’Orso bruno anche attraverso la stesura di piani d’azione nazionali.

Successivamente la legge dell'11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio.) include l'orso fra le "specie particolarmente protette, anche sotto il profilo sanzionatorio"

Ma è con la direttiva “Habitat” 92/43/CEE che si sviluppano gli strumenti ancora oggi utilizzati nella tutela dell'orso. La direttiva impone impone agli Stati membri di sorvegliare lo stato di conservazione dell’Orso bruno (art. 11), promuovere la ricerca, lo scambio di informazioni per garantire un efficace coordinamento della ricerca attuata nella Comunità europea (art. 18 c. 1), ed incentivare la cooperazione transfrontaliera in materia di ricerca (art. 18 c. 2). La direttiva inoltre prevede che ogni autorizzazione per interventi sui grandi carnivori sia di competenza ministeriale. Ne consegue che per ogni eventuale cattura di un orso è necessaria un’autorizzazione speciale rilasciata dal Ministero dell’ambiente, che a sua volta si basa su un parere dell’Istituto Nazionale Fauna Selvatica. Il recepimento della Direttiva è avvenuto in Italia nel 1997 attraverso il Regolamento D.P.R. 8 settembre 1997 n. 357 modificato ed integrato dal D.P.R. 120 del 12 marzo 2003. Nell' art. 3 della Direttiva "Habitat", viene introdotto un nuovo concetto, quello di "rete ecologica europea" denominata Natura 2000: in questo modo l'approccio conservazionistico rivolto alle singole specie minacciate è superato e va affiancato da azioni volte alla tutela di tutta la diversità biologica, nelle sue componenti: genetica, di specie e di ecosistemi.
Grazie al concetto di rete e di coordinamento fra gli stati membri della Comunità Europea l'Italia entra in prima linea nella conservazione dell'orso bruno attraverso due fra i più emblematici esempi di piani di conservazione: il LIFE Ursus sulle Alpi e il PATOM nell'Appennino. Entrambi si basano sulla collaborazione di diversi soggetti come enti, parchi, organi amministrativi, università ecc, dislocati sul territorio e operanti in sinergia.

Sebbene sia una specie profondamente protetta l'orso bruno e ancor di più la sottospecie marsicana sono ancora molto vulnerabili nel nostro Paese. La conservazione dell'orso bruno marsicano soprattutto ha subito un forte colpo in questi ultimi anni, proprio quando si pensava che i nuovi strumenti e i moderni concetti di conservazione associati ad una maggior maturità delle amministrazioni potessero finalmente scongiurarne la scomparsa. Gli sforzi quindi dovranno aumentare sempre di più affinché gli orsi continuino a vivere ancora nei nostri boschi.

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